È una delle famiglie più ipocrite del nostro Belpaese, portavoce della peggior maniera di fare imprenditoria: la più comoda e quindi la meno etica. È motivo di vergogna, per qualsiasi italiano che conosca i panni sporchi che si lavano in casa Benetton.
Una marca, un’azienda, un impero costruito attraverso sotterfugi legali ed opportunistiche manovre politico-finanziarie, usurpando e calpestando i diritti di altre persone considerate “di minore rilevanza”, rispetto ai grandi piani di sviluppo commerciale di una marca che ha ipocritamente costruito la sua immagine sull'”uguaglianza razziale” ed il “rispetto ambientale”.
Il consumista medio, che riconosce in Benetton una marca prestigiosa di abbigliamento di qualità, dovrebbe cominciare a cambiare idea.
La storia dell’espropriazione delle terre agli indigeni argentini Mapuche da parte della famiglia Benetton risale ai primi anni ’90 e per chi ancora non la conoscesse, la racconto brevemente.
Nel 1991 Luciano Benetton comprò 900.000 ettari di terre della Patagonia argentina, alla società britannica Argentine Southern Land Company (che opera in Patagonia con il nome Compañia de Tierras Sud Argentino S.A.; interamente acquistata da Benetton, mediante la controllata Edizione Holding, nel 2003, ndr). In queste terre viene allevato da Benetton un “esercito” di circa 300.000 pecore, da cui se ne ricava una pregiata lana.
Ovviamente queste terre non appertengono né a Benetton, né tantomeno alla compagnia inglese Argentine Southern ma sono patrimonio dell’umanità e terra da sempre abitata dagli indigeni argentini Mapuche.
Prima sterminati dal generale militare e presidente argentino Julio Argentino Roca (nel 1878, durante la tristemente poco famosa Campaña del Desierto, con cui il dittatore Roca ordinò lo sterminio di tutte le popolazioni indigene della Patagonia, per sfruttarne i territori), circa cent’anni dopo i Mapuche sopravvissuti si sono trovati a far fronte al nuovo colonialismo economico, che li ha cacciati dalle proprie terre, perché ricchissime di pasti e materie prime essenziali per le produzioni delle multinazionali come Benetton (ma non solo, alcuni nomi di violentatori dei diritti civili Mapuche: Levi Streauss & Co., Grupo Loma Negra, Jane Fonda, Ted Turner, Emanuel Ginóbili, López Rey, etc).
Il primo riconoscimento da parte del Governo argentino ai Mapuche avvenne appena nel 1994, quando i diritti civili delle popolazioni indigene della Patagonia vennero incluse nella Costituzione dell’Argentina.
La storia della diatriba Benetton passa per Atilio Curiñanco e Rosa Rúa Nahuelquir, una coppia Mapuche, che nell’agosto del 2002 decise di tornare a vivere nelle proprie terre, dopo aver lavorato per molti anni nella vicina città di Esquel. In questione di mesi fu fatta sloggiare con la violenza, dopo non aver accettato il denaro offertogli per abbandonare le proprie terre, ormai proprietà della famiglia Benetton.
“Ci hanno sfrattati dalla nostra casa a Leleque con l’uso della forza fisica, confiscandoci tutti i beni e distruggendo poi la casa, dicendoci che loro non facevano altro che difendere i diritti dei nuovi proprietari, coloro che avevano comprato 900mila ettari di territorio, invadendo le nostre terre” – racconta Curiñanco.
Non contento, Benetton citò a giudizio la famiglia Mapuche, rea, secondo l’ipocrita brand di Ponzano Veneto, di “occupazione violenta ed occulta” e “di aver abbattuto di notte i recinti che delimitavano alcuni possedimenti argentini di Benetton, occupandoli poi abusivamente”.
La famiglia di Curiñanco viaggiò in Italia nel 2004 per incontrare Luciano Benetton. Dopo un intensa riunione, Benetton offerse una donazione di 2.500 ettari di terre alla famiglia Mapuche, offerta che ovviamente venne rifiutata. Fa sorridere pensare che Benetton cercò di offrire ai legittimi proprietari di quelle terre della Patagonia, una parte irrisoria dei 900mila ettari che gli aveva espropriato. Lo stesso governo della provincia argentina di Chubut rifiutò l’offerta di Benetton, sottolineando che quei duemilacinquecento ettari che voleva “donare” erano oltretutto, improduttivi.
All’incontro italiano Mapuche-Benetton si parlò di diritti legali e diritti legittimi, cercando di far entrare in ragione Benetton. Non ci fu niente da fare, la famiglia Benetton aveva ben chiari i propri obiettivi e considerava legale il proprio modus operandi, senza riconoscere che aveva usurpato terre in cui le popolazioni indigene vivevano fin da tempi ancestrali.
Alla riunione erano presenti, oltre a Luciano Benetton e la famiglia Curiñanco Rúa Nahuelquir, il giornalista italiano Gianni Minà ed il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, che disse queste parole a Benetton:
Le scrivo questa lettera, che spero legga attentamente, tra lo stupore e il dolore di sapere che Lei, un imprenditore di fama internazionale, si è avvalso del denaro e della complicità di un giudice senza scrupoli per togliere la terra ai fratelli Mapuche […]. Deve sapere che quando si toglie la terra ai popoli nativi li si condanna a morte, li si riduce alla miseria e all’oblio. Ma deve anche sapere che ci sono sempre dei ribelli che non zoppicano di fronte alle avversità e lottano per i loro diritti e la loro dignità come persone e come popolo. Continueranno a reclamare i loro diritti sulle terre perché sono i legittimi proprietari, di generazione in generazione, sebbene non siano in possesso dei documenti necessari per un sistema ingiusto che li affida a coloro che hanno denaro […]. Signor Benetton, Lei ha comprato 900mila ettari di terra in Patagonia per accrescere la sua ricchezza e potere e si muove con la stessa mentalità dei conquistatori […]. Vorrei ricordarle che non sempre ciò che è legale è giusto, e non sempre quello che è giusto è legale […]. Vorrei farle una domanda, signor Benetton: Chi ha comprato la terra a Dio? Lei si sta comportando come i signori feudali che alzavano muri di oppressione e di potere nei loro latifondi.
A cui lo svergognato Benetton rispose:
Chiedendomi ‘Chi ha comprato la terra a Dio?’, lei riapre un dibattito sul diritto di proprietà che, comunque la si pensi, rappresenta il fondamento stesso della società civile […]. Da parte mia credo che nel mondo terreno e ormai globalizzato la proprietà fisica, come quella intellettuale, sia di chi può costruirla con la competenza e il lavoro, favorendo anche la crescita e il miglioramento degli altri […]. La nostra era, ed è tuttora, una sfida di sviluppo […]. Senza entrare nel crudo dettaglio delle cifre, abbiamo investito per portare l’azienda a buoni livelli di produttività, ben consapevoli che questo avrebbe contribuito a produrre sviluppo e lavoro per il territorio e i suoi abitanti […]. Abbiamo semplicemente seguito le regole economiche in cui crediamo: fare impresa, innovare, operare per lo sviluppo, continuare a investire per il futuro.
Tre anni dopo, il 14 febbraio 2007, la famiglia Curiñanco Rúa Nahuelquir, assieme ad una trentina di amici Mapuche, marcia alla riconquista delle proprie terre e comincia a costruire una casa in pieno “territorio Benetton”: fu fondata così la Comunità Santa Rosa Leleque, da allora proclamato “territorio Mapuche recuperato”.
La disputa Mapuche-Benetton continua ancora oggi e sempre continuerà, almeno fino a quando la famiglia trevigiana non capirà che i Mapuche sono i legittimi proprietari delle terre della Patagonia e che, anteporre i diritti civili (di questi indigeni e dei lavoratori, non dimentichiamoli, sfruttati nelle fabbriche di Cina, Bangladesh, Turchia e così via, ndr) agli interessi economici delle proprie imprese, è innanzitutto un dovere morale.
L’attivista Mapuche Ruben Curricoy afferma: “ci offrirono addirittura delle azioni individuali sulle nostre terre… accettarle avrebbe implicato ulteriori imposizioni fiscale e moltissime restrizioni. Senza contare con il fatto che le forme individuali del concetto di proprietà vanno contro la nostra filosofia di vita, che è essenzialmente comunitaria”.
Secondo i Mapuche un certificato di proprietà comunitaria che includa tutti i membri della comunità, eviterebbe la vendita delle terre a persone senza scrupoli come la famiglia Banetton. “Tutti i membri della comunità Mapuche hanno gli stessi diritti ed opportunità d’utilizzare le terre. Non esiste un sistema di leadership se non orizzontale, ovvero nessuno ha privilegi speciali nel prendere decisioni o nella distribuzione delle terre”.
Insomma, un sistema lontano anni luce dal capitalismo fraudolento di Benetton che, oltretutto, ci prende in giro tutti auto-proclamandosi “ambasciatore ecologista”, “difensore del futuro del pianeta” e “lottatore per l’ambiente”, a bordo del suo yacht ecologico da 50 metri “My Tribu”.
Cinquanta metri costruiti con denaro sporco, autoritarismo e soprusi, lontano migliaia di chilometri dal quartier generale di Ponzano, nel benestante Veneto, dove Benetton è un grande impresario, un esempio di self-made-man da seguire, dove c’è la pubblicità di Toscani, utilissima per lavare i cervelli. United Colors of Benetton: uno degli esempi più aberranti di fino a dove si spinge l’ipocrisia della società moderna.
Ricordatevi d’ora in avanti che quei bambini di tutti i colori che si abbracciano sorridenti nei cartelloni delle réclame di Benetton, sono simbolo dell’inganno, una maschera dietro la quale ci sono i popoli Mapuche dell’argentina, sfrattati e bastonati.
Boicottate Benetton e non pensiate che il diritto di vestirvi con abiti firmati sia più importante dei diritti di questi indigeni. I Mapuche hanno il diritto legittimo di vivere nelle loro terre e tener voce in capitolo riguardo il futuro della Patagonia.
Non pensiate di essere migliori dei Mapuche.
Per concludere, ancora un paio di chicche su Benetton:
- Benetton ottiene parte dei suoi prodotti da terzisti localizzati in Cina, paese che vieta ogni libertà sindacale.
- Nel 2003 si concluse il processo promosso da Benetton contro Riccardo Orizio, giornalista del Corriere della Sera, pubblicò un servizio sulla presenza di lavoro minorile alla Bermuda e alla Gorkem Spor Giyim, due fabbriche turche che producevano abbigliamento per Benetton. Il tribunale condannò Orizio a 800€ di multa, perché “ha sbagliato nell’affermare in modo perentorio che in una di queste aziende venissero prodotti capi con il marchio made in Italy per conto dell’azienda italiana”.
- Nel 2013 crolla a Dacca, in Bangladesh, il palazzo Rana Plaza dove risideva una delle fabbriche tessili a cui la Benetton appalta i suoi lavori. Sono morti 381 operai. L’associazione Clean Clothes Campaign accusa Benetton di non controllare le condizioni di sicurezza delle aziende a cui affidano la creazione dei loro prodotti.
- L’impresa Minera Sud Argentina S.A. (conosciuta cme Minsud, ndr), di proprietà della famiglia Benetton, ha cominciato ad esplorare una vasta zona a nord-est della provincia argentina di San Juan, a confine con il Cile, pianificando trivellazioni nella zona del dipartimento Iglesia per l’estrazione di oro ed argento. Questo progetto di Benetton, denominato Brechas Vaca, oltre a comportare l’inquinamento delle falde acquifere e dei ghiacciai della Patagonia, distruggerebbe irrimediabilmente parte del territorio che è patrimonio di tutti noi.
Matteo Vitiello
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