Berlusconi ti fotte col sorriso

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Per avere un quadro chiaro della situazione, spesso bisogna prendere le distanze da quello che si sta facendo, allontanarsi. È una questione di prospettiva.

Leggo i giornali, spulcio notizie da internet, ascolto i telegiornali italiani e, purtroppo, ogni giorno, sempre le stesse notizie, gli stessi argomenti, la stessa minestra, servita sulle pagine e trasmessa dagli schermi, a giorni alterni con qualche nuova spezia o colorante, per dissimulare… ma la sostanza resta sempre la stessa.

Ora, dal momento che né la stampa, la radio o la televisione italiana, né i giornalisti di destra, di sinistra o quelli senza partito (una razza più unica che rara ormai, ndr) sono in grado di presentare una portata nuova o quantomeno di scrivere un unico articolo che riassuma le tante storielle politiche scarabocchiate per compiacere quel politico o quell’altro direttore di testata e, considerato che i mezzi di comunicazione del regime italiano non sono molto affidabili, mi è saltata all’occhio la prima pagina del britannico The Economist dedicata ad un sorridete Berlusconi.

Un paio di settimane fa il settimanale londinese pubblicava un bell’articolo degno di nota, finalmente, dal titolo “The man who screwed an entire conutry” (“L’uomo che ha fottuto un intero Paese”). Uno speciale di ben quattordici pagine dedicato all’attuale situazione dell’Italia, un bel ritratto socio-politico-economico del nostro Paese. Lo leggo e… altro che minestra, l’articolo è come un piatto di spaghetti alle cozze, buonissimo!

Ho tradotto i passi che, secondo me, sono i più importanti ed in grado di far intendere la situazione italiana ad un italiano, semplicemente dandogli quella prospettiva che, da dentro lo stivale, la maggioranza sembra aver perso.

L’articolo in questione rimarca alcuni problemi già riconosciuti dalla maggior parte degli italiani come propri del Paese in cui vivono. Il fatto drammatico è che ormai ne parlano tutti: siamo arrivati al punto in cui, oggigiorno, tutto il mondo conosce l’Italia quasi solo attraverso questi vergognosi problemi di corruzione ed abusi di potere. È il sintomo di un male debilitante per il Belpaese,un cancro in uno stato così avanzato da far paura. Come scrive l’Economist, è proprio tempo per l’Italia di smettere di biasimarsi per le proprie difficoltà e di alzarsi in piedi.

Senza dimenticare che in Italia esistono ancora validi portavoce del miglior giornalismo d’investigazione nazionale ed internazionale, dopo tanta minestra a base di notizie-merda, credo di fare un piacere a molti lettori, proponendo la traduzione di questo articolo, un reportage che è stato preparato, doveroso sottolinearlo, anche in collaborazione con alcuni buoni chef del quarto potere italiano. Buon appetito!

“Tra il 2000 ed il 2010 la crescita media dell’Italia è stata solo dello 0,25% all’anno. Di tutti i Paesi del mondo, solo Haiti e Zimbabwe hanno fatto peggio. Molti fattori hanno contribuito a questa triste situazione. L’Italia è diventata un Paese che si sente a disagio con il resto del mondo, impaurita dalla globalizzazione e dall’immigrazione. Combinando un’avversione alla meritocrazia, con un insieme di politiche che discriminano i giovani a favore degli anziani, le scelte politiche italiane hanno portato all’emigrazione di un gran numero di giovani talenti all’estero.

L’Italia ha fallito nel rinnovamento delle proprie istituzioni e soffre a causa di un debilitante conflitto d’interessi, che contraddistingue l’ambito giudiziario, politico, mediatico ed imprenditoriale. Questi sono problemi che riguardano l’intera nazione, non solo una regione od un’altra.

Gli italiani non sono stati aiutati dalla permanenza di Mr. Berlusconi a Palazzo Chigi, la residenza ufficiale del primo ministro (la quale, in una caratteristica confusione tra dovere pubblico e piacere privato, quest’ultimo tende a scansare in favore della sua vicina residenza, una delle tante).

È tempo per l’Italia di smettere di biasimarsi per le proprie difficoltà, alzarsi in piedi e prendersi una tazza di quel suo caffè così delizioso.

[…]

Una visione rosea dell’economia italiana si fonda su due assunti che sono veri solo a metà. Il primo è che l’Italia è un’economia guidata dall’esportazione, come la Germania. Ci sono, certo, molte esportatori italiani di successo. Alcuni hanno nomi famosi come Benetton, Prada e Ferrari. Altri sono meno conosciuti, anche se, come Luxottica, producono beni che siedono sul naso di molte persone, come gli occhiali Ray-Ban e Oakley. Nonostante tutto, ciò non fa dell’Italia un campione dell’esportazione. A differenza della Germania, l’Italia ha accumulato ogni anno, a partire dal 1999, un deficit bancario e, dal 2005, un deficit di mercato. L’Italia può ancora possedere la sesta base industriale più grande del mondo ma l’Inghilterra, spesso considerata debole dal punto di vista industriale, fa ed esporta più automobili dell’Italia.

Il secondo assunto è la credenza che l’alto livello di depositi bancari, che tendono ad essere conservativamente investiti nel debito del Governo o semplicemente parcheggiati in conti bancari, isolino l’economia dai problemi.

[…]

La mancata crescita dell’Italia durante gli ultimi vent’anni è stato il suo peggiore fallimento economico. In poche parole, le aziende italiane hanno un problema con la produttività e la competitività. Per capirlo meglio, pensate all’economia italiana come ad un caffè. Molti italiani pensano che la loro economia sia manifatturiera ed industriale. Ma da quando il 70% della forza lavoro è attualmente impiegata nel settore dei servizi, questo caffè è più rappresentativo dell’economia italiana, che aziende come Fiat o Zanussi.

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Come molte aziende ancora di proprietà del loro fondatore, questo caffè non si è mai espanso: circa metà degli italiani lavora in aziende con meno di venti impiegati.

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Due caratteristiche dell’economia italiana rendono l’evasione fiscale più facile: la netta maggioranza di piccole aziende e la prevalenza di operazioni effettuate in contanti.

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Troppe aziende italiane sono state lente ad adattarsi ai cambiamenti del mondo attorno a loro.

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Evasione fiscale, bassa produttività, conduzione familiare, capitali di mercato ridotti, mancanza di competitività: questi problemi sono ben documentai per chiunque importi dare un’occhiata in profondità. Ma il Governo italiano è stato rapido a trovare altri colpevoli: la Cina rea di falsificare i prodotti italiani, l’Unione Europea che ammassa intriganti regolamentazioni sulle imprese italiane od il sud Italia che trascina il resto del Paese verso il basso.

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L’Italia è una foresta selvaggia di piccoli privilegi. Ognuno ha la sua propria lobby e tutti assieme cospirano per fare riforme quasi impossibili. Il principio è quello di garantire privilegi a poche persone a spese di tutte le altre. Chi perde in questo sistema chiuso viene a galla dalle statistiche sulla disoccupazione, dove i giovani sono, sproporzionatamente, i più rappresentati. Inoltre, quei giovani che hanno un impiego, devono accettare condizioni svantaggiose, come stabilito dalla riforma del 2003.

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In questo periodo il mondo sta andando in Italia, indirettamente attraverso la globalizzazione e direttamente attraverso l’immigrazione. Persone da tutto il mondo vogliono farsi una vita in un Paese più abituato ad esportare persone, piuttosto che a riceverle. Questi attuali cambiamenti hanno provocato più allarme che piacere.

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Di fronte al compromesso di dover aspettar fino a che raggiungono l’età dei propri nonni per diventare “senior”, molti dei migliori e più brillanti italiani lasciano il Paese. Le Università americane e britanniche sono piene di italiani troppo ambiziosi per rimanere seduti per decenni in attesa d’ottenere un’occupazione in Italia. L’indicatore che più condanna la salute economica italiana è l’indice d’esportazione di laureati tra i ricchi Stati Europei, un comportamento che è più comunemente associato ad un Paese in via di sviluppo, piuttosto che ad uno sviluppato.

Molti laureati italiani abbandonano il Paese per sfuggire al sistema delle raccomandazioni o connessioni (spesso attraverso famiglie), che condannano il mercato del lavoro. Esempi di questo tipo di pratiche possono ritrovarsi in ogni Paese ma in Italia è differente per due ragioni: le raccomandazioni sono dappertutto e raramente vengono questionate.

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Chi compete per ottenere un lavoro pubblico si presenta a concorsi, che non sono né pubblici, né competitivi ma disegnati solo per dare credibilità a decisioni che sono già state prese. Su 40 concorsi pubblici analizzati, si è scoperto che il 70% dei lavori sono andati a persone relazionate con i

 professori delle Università che indicevano i concorsi stessi. Quando un “esterno” ottiene il lavoro, si tratta spesso di un accordo fatto con un’altra Università, un favore che sarà ritornato in futuro.

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I problemi dell’economia italiana sono gli stessi di 15 anni fa. L’Italia non ha sviluppato un sistema politico a due partiti: la sinistra è costituita da una coalizione sempre in lotta per gli interessi, che a volte si unisce, in seguito al potere di una vittoria e subito dopo tende a disintegrarsi. Il Popolo delle Libertà, il principale partito della destra, governa in coalizione con altri partiti, con i quali è in disaccordo su questioni fondamentali. Inoltre, parte del PdL non è tanto un partito, quanto un gruppo di fan di Mr. Berlusconi e suoi ex impiegati. Giorgio Tremonti, ministro delle finanze, era il legale fiscale di Berlusconi; Mara Carfagna, ministro delle pari opportunità, soleva dondolarsi in bikini in uno dei suoi canali televisivi. Tutto ciò ha aumentato il controllo da parte dei capi del partito ed ha rotto il collegamento diretto tra politici e votanti.

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Secondo uno studio del Consiglio Europeo, un processo in Italia dura in media 1210 giorni, contro i 229 della Gran Bretagna e i 331 della Francia.

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La situazione in Italia sarebbe relativamente normale se non fosse per tutti i piccoli Berlusconis – ha detto James Watson, scienziato politico dell’American University di Roma – i conflitti d’interesse ed i confini non ben definiti tra le istituzioni sembrano essere la norma ed i poteri sono amalgamati, più che separati. Ma tutti questi imbrogli sembrano pochi, se comparati con quelli del primo ministro. Una delle ragioni del suo incontestato successo può essere la simpatia nei confronti di Berlusconi da parte di quelle persone che vedono qualcosa di loro stessi in lui.

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Mr. Berlusconi è un miliardario che ha utilizzato i suoi soldi per creare il proprio partito politico, raggiungendo la carica più alta, per poi

 utilizzarla per preservare i propri interessi. Se l’Italia è un paziente con alcune peculiari lamentele, Mr. Berlusconi è più il sintomo che la causa. Ha dato forma al Paese a sua immagine.

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La povertà economica del Paese è la prova del fallimento del programma politico di Berlusconi.

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Circa il 30% degli elettori ancora lo sostiene. Sono per lo più anziani, di sesso femminile e vivono in piccole città, secondo Nando Pagnoncelli dell’istituto di statistica Ipsos Mori. Guardano molta tv ma non leggono giornali. Molti di loro non credono che le accuse contro il primo ministro siano fondate.

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Il fondamentale difetto dello stile di governo di Mr. Berlusconi è che spesso confonde gli interessi privati con quelli pubblici. Questo è ancora più ovvio quando usa il potere della sua posizione per proteggersi dalla concorrenza o dai persecutori.

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L’Italia ha offerto per un lungo periodo di tempo completo supporto a Gheddafi in Libia. Recentemente ha cambiato strada ma Mr. Berlusconi ha detto in privato che è in lutto per il Colonnello Gheddafi.

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Nella sua breve vita come nazione, l’Italia ha già saputo ricostruirsi diverse volte. Negli ultimi decenni ha vissuto sulle spalle di un miracolo economico, terminato negli anni Settanta. Potrebbe continuare così più o meno all’infinito, crescendo immobile, più povera e più vecchia ma ancora in grado di maneggiare abbastanza bene tale situazione. Per il momento questo comportamento sembra essere il più vicino a ciò che potrà accadere. Ma la nazione sta attendendo un nuovo risveglio, come quello che la portò all’unificazione 150 anni fa”. 

 [“A man who screwed an entire country” , The Economist, Giugno 2011]

 Matteo Vitiello

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