È anche colpa nostra: abbiamo troppa fretta, ci inventiamo le “carriere” e diventiamo schiavi di noi stessi

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la fretta uccide...

Entra nell’ascensore e abbassa lo sguardo, fissa il pavimento, alza gli occhi e di sotterfugio guarda se l’osservano, distoglie spaventato la sgurado in cerca della sicurezza dell’angolo tra la parete ed il soffitto. Arriva al suo piano, si aprono le porte, biascica un saluto e se ne va. Chi non ha vissuto una situazione così nell’ascensore?

Non è nient’altro che un buon esempio di timore al contatto emozionale, un’attitudine comportamentale che ci accompagna, soprattutto nella vita di città, dove lo stress fa ammalare e porta la gente ad allontanarsi e contagiarsi.

Abbiamo paura, paura d’invecchiare, di perdere i risparmi, di essere licenziati, lasciati ed abbiamo ancor più paura a condividere queste stesse paure con gli

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altri. Soluzione? Semplice, come sempre: condividere e darsi amore.

Tra l’80 ed il 90% delle persone guarda per terra quando cammina per strada o distoglie lo sguardo quando incrocia un altro passante. C’è chi si mette sempre gli occhiali da sole, anche quando è nuvoloso, per osservare di nascosto e non farsi guardare negli occhi, c’è chi si rifugia nel cellulare, lo scudo dell’inetto che cammina per strada chino, senza prestare attenzione, senza gustarsi la passeggiata, il panorama, la gente che passa.

La gente di città ha sempre fretta! Tutti gobbi, qualcuno si ferma davanti alle vetrine di una boutique d’abbigliamento od all’ennesima succursale della Apple, i più ebeti si inchinano e pensano che un computer sia chissacché, tanto che c’è chi s’indebita per comprare l’ultimo cellullare che scorreggia e misura la lunghezza degli stronzi dandogli un voto in Google+, i più edonisti cercano la propria immagine riflessa nella vetrina e si guardano un po’, si pettinano i capelli con uno o più tocchi paranoici e tornano a camminare a passo veloce, guradano l’orologio, come se avessero ancora più fretta di prima, sembrano il coniglio di Alice, affranti ed appesantiti da un senso deviato di responsabilità, da qualche ineludibile impegno che gli sta soffocando e deformando in un’espressione arrugata e sempre  giustificata, da un “uff, lavoro, tante cose da fare, problemi, preoccupato… devo andare, devo fare, devo…devo….”.

mccandlessDovete morire, questa è l’unica cosa che dovete fare. Il resto è vita, ricordatelo. Non permettete che il lavoro vi uccida e riduca a questi stati penosi e patetici. Vivete e lavorate coscienti, felici, senza preoccupazioni, è fondamentale, dovreste saperlo ma soprattutto dovreste praticarlo. C’è gente che non crede di poter vivere libero e felice, spensierato e contento ma non mi fa alcuna pena chi si piange addosso. Leggere di più, fare una passeggiata per qualche sentiero, evitare di paralizzarsi a giocare a perditempo d’internet o guardare tre telegiornali al giorno. Solo qualche consiglio d’esempio per riprendere in mano la vita, se vi fosse scivolata via. O così o servi.

Dovete essere coscienti che non vale la pena vivere correndo dientro all’inutile.

La paura a condividere le emozioni è spesso così forte che le interazioni sociali più emozionalmente sincere e dirette sono ormai relegate ai momenti in cui si è estremamente contenti od estremamente incazzati.

Per il resto, quasi tutti passeggiano come mucche per le strade delle città, il più delle volte pascolando tra negozi e centri commerciali, sempre gobbi a digitare parolette, faccine e numeretti sul cellulare, ridendo soli e andando a sbattere spalla contro spalla. Tutti passano uno di fianco all’altro, come fantasmi. Scambiarsi un sorriso è diventata una splendida rarità.

Thanks to Zeo x for the picture
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Essere impegnati, frettolosi e seri sono diventati i fondamentali per dimostrare ed apparire come la quintessenza dell’uomo contemporaneo. Un uomo scemo e per di più incosciente d’esserlo. Un uomo che si misura per i soldi che guadagna, un uomo che rappresenta l’apoteosi della tristezza di un sistema che elogia il servo che fa bene il servo, cosicché, elogiato, non si sente più tanto servo e può continuare ad esserlo senza lamentarsi troppo e contagiando gli altri.

Sapete perché quando si va per sentieri in montagna ci si saluta sempre (o quasi)? Perché tra boschi e torrenti siamo più rilassati e predisposti ad attuare con semplicità, senza paura di sorriderci, salutarci e magari chiacchierare di allegre futilità per un po’. Fuori dalle città capite che le città sono piene di cose inutili spacciate per utili o, addirittura, indispensabili.

Spero capiate l’importanza di recuperare la comunicazione emozionale e la condivisione. Non fatevi sopraffare dalle paure, condividete il vostro stato d’animo con gli altri, anche solo con un sorriso o una boccaccia, un buongiorno, buonasera, arrivederci. Incontratevi e divertitevi assieme, cantate, parlate e giocate, non parlate di politica o del perché esistono le banche, siate veri e sinceri, mandatevi a cagare od abbracciatevi ma soprattutto ascoltate, ascoltate ed imparate ad ascoltare, non parlate sempre e solo voi, mettetevi in discussione, sempre. Ridete.

 Matteo Vitiello

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