È anche colpa nostra (IIª parte): dobbiamo imparare a condividere di più, sappiamo solo competere

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Per una società migliore, uno stato migliore, un mondo migliore, tutti dovremmo cooperare un po’ di più. Dalla semplice mano a portare le borse della spesa, a prestare i cavi della batteria quando il vicino è rimasto a piedi, a far favori e piaceri senza chiedere niente in cambio, a lavorare tutti assieme e senza fare a gara, per conseguire obiettivi comuni.

Dobbiamo imparare a lavorare e condividere, senza sentirci in debito o pensare che qualcuno ci debba qualcosa. Il concetto di debito è repellente, come un beunobuonogood_competizioneinsetto che defeca nel nostro cervello, il debito deve restare relegato all’ambito economico e lasciare che economisti ed addetti ai lavori finanziari giochino con questa merda, la loro merda, in cui presto o tardi moriranno.

Quello di cui abbiamo bisogno e che sta gridando il mondo è cooperazione, condivisione, lealtà e i due ingredienti fondamentali: amore e volontà.

È come una mandria di leoni che vi vorrei in quest’epoca di cattivi sovrani, pazzi e lecchini. Una mandria di leoni affamati ed incazzati, che sanno lottare quando serve, che con uno sguardo si capiscono; leoni che giocano per dimostrare chi è il più forte e poi condividono l’ombra dello stesso albero per fare una pennica. Niente di più che leoni stesi al sole, leoni in battaglia, leoni che non desistono e non credono alle parole, leoni saggi e leoni fieri.

Guerre piccole e guerre grandi, invece, sono l’unico leitmotiv della savana metropolitana in cui s’è ridotto il mondo, dove abbondano le pecore ed i serpenti, i cani ed i topi e dove i leoni stanno negli zoo.

La paranoica necessità di dimostrare d’essere migliore dell’altro, unita al desiderio di possedere il potere, con l’unica ambizione di fare qualsiasi cosa con esso, dimostra che l’homo economicus, dominato dal denaro e vissuto all’interno d’un sistema finanziario creato per ordinare e governare, è divenuto un virus, il virus che ha partorito lo scenario desolante in cui viviamo oggi.

L’homo economicus è un uomo perso. Ne è chiara dimostrazione la competizione tra aziende, tra centinaia di migliaia d’imprese che producono gli stessi prodotti, cometici, mobili, auto, quaderni, computer, cibo in scatola, marionette e kalashnikov. 

La competizione è una maniera di relazionarsi e marcare il proprio territorio.  È innata e senza dubbio positiva, è una scintilla di sopravvivenza per l’uomo. Lo sport è nato proprio dalla necessità di sfogare questo desiderio di superare e superarsi. Questo è buono. Nella città, però, e ancor più nella giungla delle metropoli, la competizione non serve a un cazzo. Non vi vedete, stiamo tutti sempre pisciando attorno agli stessi alberi, ogni giorno, e finisce sempre che qualuno si piascia addosso o gli pisciano addosso. Giovani universitari forgiati con la mania di competere con tutto e tutti, seguendo obiettivi-carota come somari. Se volete fare evolvere il mondo, cooperate e coondividete conoscenze, risorse ed obiettivi. Poi magari sfogate la smania di competere facendo una bella partita a pallacanestro o una corsa in salita con un amico.

buenobuonogood_castellChe razza di progresso abbiamo raggiunto competendo? A parte giocattoli tecnologici per ogni età, siamo riusciti a far brillare il mondo intero? No. Che umanità è questa?

È ora di cambiare paradigma perché Zio Paperone ci sta ammazzando e mezzo mondo e già morto. A cosa serve continuare criticare e parlare di come ci hanno fregati, di come ci persuadono o di come viviamo male?

Quella manciata di brutti ceffi che vuole governare il mondo, calpestando ed ignorando tutto e tutti, ci parlano, ci rassicurano, ci avvertono e ci consigliano, ci mantengono occupati… e spesso noi stessi ci manteniamo occupati ascoltandoli. Queste bestie immonde, persone senza scrupoli le chiamano, l’hanno scelto come filosofia di vita, governare per non fare un cazzo per gli altri, vivere per arricchirsi e dar valore al denaro.

Al di là della parafrasi, il nucleo della discussione è semplice: la competizione per cui aziende, associazioni, stati e contineti gareggiano ogni giorno è solo uno spreco di tempo prezioso. Se sfumasse la necessità di competere nella produzione, nel commercio e nella costruzione, potremmo finalmente cominciare a lavorare tutti assieme e, cosa più importante, con la volontà di fare del bene per tutti, per realizzare obiettivi comuni, mete che non abbiamo ancora neppure cominciato a delineare.

Matteo Vitiello