La bio-plastica inquina più del petrolio

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L’oro nero non è più oro… poveri sceicchi. Ora bisognerà fare i conti con lo zucchero della Dow Chemical, che ha cominciato a produrre bioplastica da canna da zucchero su scala mondiale.

Il prezzo del petrolio, il suo progressivo esaurimento, i progressi scientifici e l’innovazione  tecnologica hanno cambiato le convenienze, rendendo la produzione di bioplastica più competitiva della plastica che tutti conosciamo, quella ricavata da petrolio.

Attualmente esistono diverse aziende che offrono prodotti “sostenibili”, ottenuti da tipo di polietilene di origine vegetale: vedi l’azienda olandese Moonen Packaging, che si occupa d’imballaggi, o la belga Ecover, ad esempio.

Il futuro ci riserva coltivazioni intensive di canna da zucchero invece che trivelle nel deserto? È chiaro che la Dow Chemical Company non ha voluto farsi scappare l’occasione di diventare leader del mercato di quello che potrà considerarsi il petrolio di nuova generazione: lo zucchero. Lo scorso 25 luglio la multinazionale della chimica statunitense ha annunciato d’aver firmato un accordo di joint venture con il gigante del commercio nipponico Mitsui & Co., per la costruzione di un mega impianto industriale per la produzione massiva di bioplastica in Brasile.

La sede della fabbrica sarà il municipio brasiliano di Santa Vitória, nello stato di Minas Gerais. Entro la fine di quest’anno, sarà completato un complesso industriale capace di contenere 240 milioni di litri di bioetanolo e, sempre secondo i piani, entro i primi mesi del 2012 è prevista la costruzione degli impianti di trasformazione dell’etanolo in polietilene bio.

“Una volta completato il progetto – afferma un portavoce della Dow Chemical – sarà in funzione il più grande polo integrato a livello mondiale per la produzione di materie plastiche ottenute da bioetanolo, destinate ad applicazioni nell’imballaggio, nell’igiene e nel settore medico”.

Plastica prodotta da canna da zucchero… sembrerebbe una buona notizia… ma non è così, purtroppo. Per due principali motivi.

  • Il primo: la produzione di bioplastica sfrutta ettari di terre che dovrebbero essere destinati alla coltivazione di alimenti per l’Africa sub-sahariana. Occupando queste terre per la coltivazione di plastica, il progetto della Dow Chemical aggrava esponenzialmente l’attuale crisi alimentare.
  • Il secondo: la produzione di bioplastica danneggia l’ambiente. “La canna da zucchero necessaria per la produzione di 1 kg di biopolietilene assorbe 2,5 kg di anidride carbonica, la stessa quantità che rilascia 1 kg di polietilene proveniente dal petrolio – sottolinea il presidente della sopracitata azienda olandese Moonen – 200 tonnellate di plastica ‘verde’ offrono una riduzione di 500 ton di anidride carbonica. Il dato è pari alle emissioni annuali di 123mila famiglie o di mezzo milione di automobili”. È vero, la produzione di plastica “verde” compensa la quantità di anidride carbonica rilasciata dalla plastica derivante dal petrolio. Quindi, dove sta il danno? Presto detto: la decomposizione della molecola dell’acido polilattico (PLA), di cui è composta la bioplastica, rilascia metano, che è ben 23 volte più dannoso dell’anidride carbonica!

Considerando che l’industria della bioplastica prevede di aver bisogno di diversi milioni di ettari di terreni coltivabili entro i prossimi quattro anni, il futuro bio puzza peggio del petrolio.

Viva la plastica e l’ipocrisia dei progetti bio-industriali.

Matteo Vitiello

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